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A Trento l'hub italiano della ricerca

di Francesco Gaeta

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7 Gennaio 2010

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Fuori dalla trincea dei concorsi
L'ultimo Leo Messi comprato da Trento si chiama Sheref Mansy, classe '75. Arriva da Denver, Colorado, e porta con sé un curriculum da science star nel campo delle origini della vita, articoli di lode su Nature e una dote da un milione di dollari. È quella concessagli dalla fondazione Armenise-Harvard per il programma Career Development Awards, con cui ogni anno si finanzia la ricerca di un giovane scienziato e si scommette sul suo futuro. Il milione è arrivato a Trento quando Mansy, in agosto, ha deciso di venire al Cibio, Centro di biologia integrata dell'università. Senza passare per il via previsto dal monopoli dell'università, il fatidico concorso. Come spiega il rettore Davide Bassi, «qui si è scelto di passare dalla guerra di trincea allo scontro in campo aperto. Abbiamo capito che per scardinare la vischiosità del sistema, occorreva evitare i concorsi e fare scouting all'anglosassone: bandi sulle riviste scientifiche, analisi dei curricula, chiamata diretta». Tutto possibile perché Trento non sfora il tetto fissato per legge sulla spesa in personale (90% dei fondi nazionali) e dunque può assumere anche così. Come un'azienda privata.

Il ruolo della Provincia
Resta un ultimo fattore che spiega il successo: a travasare denaro sulle idee è un ente locale sui generis e ricco come la Provincia autonoma. Nel 2009 ai 73 milioni statali la cassaforte locale ne ha aggiunti altri 47,7, di cui 2,6 per la ricerca, che diventeranno 13 nel 2010. Un legame stretto. E oggi i pochi passi che separano Piazza Dante, casa del presidente Dellai, e via Belenzani, sede del rettorato, sono destinati a diminuire ancora. Un accordo appena firmato con il ministro Tremonti assegna alla Provincia piena potestà sull'università e taglia quel che resta del cordone ombelicale con Roma, finanziamenti compresi. Bassi, che si definisce uno «da 150mila miglia aeree all'anno per incarichi internazionali» non crede che la sua carta fedeltà ne risentirà. «Non sono mai andato a Roma per chiedere soldi», spiega. Quanto al rischio che il suo ateneo si ritrovi a ballare per i vuoti d'aria delle maggioranze locali, replica: «Rappresentiamo il 2% del Pil regionale e portiamo sul territorio 100 milioni all'anno grazie agli studenti fuori sede. Forniamo competenze a industrie di livello nazionale come Ducati e Fiat, che in Trentino hanno impiantato centri ricerca. Non a caso dei 34,8 milioni che l'ateneo prevede di stanziare per la ricerca nel 2010, oltre un terzo (12,5) arriveranno da imprese private. Collaboriamo con istituti pubblici come la fondazione Mach (genomica agroalimentare) e privati come la fondazione Bruno Kessler (biotech e molto altro). Non credo proprio che la Provincia vorrà disperdere questo patrimonio». Non lo credono neanche in Provincia. «Metteremo tutto ciò che serve - ha assicurato Dellai - faremo precise scelte di bilancio annuale. Non c'è dubbio che al primo posto saranno sempre le risorse umane, la scuola, l'università, la ricerca. La scommessa è sul tempo medio lungo».

Start up e ammortizzatori sociali
Una corsa su tempi analoghi si gioca anche a Mattarello, 15 chilometri dal centro cittadino, dove a fine novembre ha aperto i battenti la nuova sede del Centro di ricerca interdipartimentale sulle tecnologie biomediche. Mura immacolate e ricercatori giovanissimi. In corso progetti nel settore oncologico - farmaci a lento rilascio sulle zone cancerogene - e in quello della biologia molecolare - rigenerazione dei tessuti per evitare protesi. Il direttore, Claudio Migliaresi, esordisce con la frase chiave: «Siamo già tra i primi in Europa». Poi mostra quello che sembra solo un microscopio. «In realtà è un bioreattore - chiarisce -. Serve a simulare in vitro il carico a cui un tessuto, nel nostro caso osso o cartilagine, è sottoposto in vivo. Consentirà di accorciare i tempi della ricerca in campo biotech». Migliaresi non è un biologo, ma un ingegnere chimico. E nel suo team le competenze si incrociano come i cavi di una fibra ottica. «È il paradigma della ricerca del futuro», aggiunge. È questo intreccio che ha portato a progettare, costruire e presto a brevettare il bioreattore, nato interamente a Trento. Ne sortirà una partnership con industrie del biomedicale? «Di più. Nascerà una start up. Con quote riservate, a rotazione, ai giovani ricercatori. La nostra invenzione non arricchirà nessuno ma darà loro sostegno economico nei tempi morti dei finanziamenti pubblici». Performance americane, welfare europeo. L'ennesima ibridazione nell'ateneo più meticcio d'Italia.

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7 Gennaio 2010
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